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Caos in Ecuador

Di Andrea Cegna

E’ passata una settimana dal voto nelle elezioni presidenziali e certezze praticamente non esistono:

L’unica era quella che il candidato correista, Andres Arauz, sarebbe andato al ballottaggio, l’11 aprile. Ma pare stiamo emergendo ingerenze politiche, interne ed esterne al paese, per mettere in discussione questo risultato.

Venerdì, 12 febbraio, il procuratore generale di Colombia, Francisco Barbosa, è arrivato nella capitale dell’Ecuador. La presenza in loco sarebbe legata al passaggio di informazioni su un presunto (probabilmente è indagine pretestuosa) finanziamento dell’Esercito di liberazione nazionale ( ELN) alla campagna di Arauz. Il presunto finanziamento è stato “denunciato” dalla rivista Semana alcuni giorni prima delle elezioni, in un’inchiesta con informazioni che, già secondo uno dei suoi giornalisti, “non erano assolutamente vere”.

Già anni fa inchieste similari, cadute nel vuoto, avrebbero cercato di legare Correa alle FARC. Ma è la contestualità di alcuni passaggi a spaventare: mentre Barbosa atterrava si ritrovavano al Consiglio Nazionale Elettorale Yaku Perez e Guglielmo Lasso. L’obiettivo trovare un accordo per il riconteggio dei voti vista la vicinanza estrema tra i due candidati e la sfida per il secondo posto. L’accordo è stato trovato, su 17 province. L’unica dove si controlleranno tutti i voti è quella di Guayaquill dove il primo, in termini di voti, è stato proprio Arauz. Il mondo correista vede nei due episodi il tentativo di far saltare il banco. Perez, Lasso e il “quarto classificato” – Hervas – condividono un forte sentimento anti-correista. Ma tra elettrici ed elettori è molto meno condivisa la posizione anti-Arauz. Tanto che se al ballottaggio andasse Lasso una buona parte degli elettori di Pachakutik e Izquierda Unida voterebbero contro il banchiere dell’Opus Dei. Discorso diverso se ci fosse Yaku Perez a contendere la presidenza ad Arauz. In questa tensione elettorale anche le parole hanno un peso e complicano il panorama politico. Per i correisti Perez è un candidato di destra come Hervas. Per una parte importante dei sostenitori dell’indigeno è Arauz ad essere rappresentante della destra progressista, così come per Hervas il correismo porterebbe ad una dittatura.

Ma sempre venerdì si è svolta una riunione della Conaie. L’incontro del consesso indigenista ha voluto mandare un forte segnale al candidato Yaku Perez “Dopo aver analizzato la situazione politica dentro la nostra struttura sono maturati accordi collettivi chiari: esigiamo trasparenza dal CNE; il sostegno della CONAIE ad ogni azione territoriale messa in campo dalle organizzazioni popolari ed indigene per esigere trasparenza dalla CNE; Qualsiasi accordo o possibile alleanza che il Movimento Pachakituk intende stringere deve essere concordato con le basi del movimento indigeno e l’agenda post-elettorale rimane quella di combattere contro il #FMI”.

Di fatto la Conaie dice no all’accordo con le destre. E anche tra le sinistre urbane sostenitrici di Harvas il supporto a Lasso non è ben visto.

Se vista da fuori i confini dell’Ecuador il partito di Correa, Pachakutik e Izquierda Unida sono “la rivincita delle sinistre contro le politiche neoliberiste ed il tradimento di Lenin Moreno” ma dentro al paese la partita è ben più complessa. Certamente la rivolta dell’ottobre 2019 è al centro del discorso, il protagonismo indigeno e alcune pulsioni anti-estrattiviste trovano li le radici che si sono materializzate nelle elezioni. Il rifiuto delle politiche neo-liberiste è il tema che ha portato al successo elettorale di almeno tre formazioni. Il rispetto però delle parole prese e spese in campagna elettorale è il nodo su cui molti si interrogano. Pachakutik e i suoi eletti ricordano e ribadiscono, come fatto dalla base della Conaie, che in parlamento l’estrattivismo sarà combattuto con forza. Questo, come ricordano in molti, fa si che le forze economiche non vorrebbero avere tra i piedi Yaku Perez.

Ma ad oggi il problema è rappresentato dalle forti tensioni interne e lo scontro tra le sinistre che potrebbero aprire ad ingerenze straniere ovvero al punto che a prendere in mano la situazione potrebbe situarsi Almagro e l’Organizzazione degli stati Americani…..riproponendo un “sistema” alla boliviana, con un governo transitorio. Ma prima di questo punto potrebbero aprirsi due partite, fantasiose e stimolanti: la democrazia, ed il buon senso trionferanno? Oppure una nuova insorgenza dal basso porterà ad una nuova tappa dell’Ecuador?

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