Di Andrea Cegna
I due omicidi in sei giorni a Tijuana hanno lasciato il segno. Non è facile trovare voci che abbiano voglia di parlare, non è semplice trovare commenti e racconti del clima che si vive nella città di frontiera. Seppure la violenza in città resta un dato di fatto e di continuità qualcosa è cambiato dopo i colpi di pistola contro Lourdes Maldonado. Dal 2000 ad oggi sono 148 i giornalisti uccisi nel paese per cui è possibile presumere che il movente dell’omicidio sia legato al proprio lavoro. 136 sono gli uomini uccisi, 12 donne. 28 sono stati uccisi sotto il governo dell’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador, 47 durante il governo del suo predecessore, Enrique Pena Nieto. A livello statale 31 sono stati uccisi in Veracruz, di questi 18 sotto il governatore Javier Duarte (dicembre 2010 – novembre 2016). Luis Hernandez Navarro, capo opinionista de La Jornarda, ricorda che “il Messico è un paese consumatore, produttore, e di transito per quanto riguarda la droga. Qui l’impresa criminale rappresenta il 10% del prodotto interno lordo, di questo totale il 40% è creato dal traffico di droga, attività combinata con il traffico di persone, il furto di mezzi di locomozione, il subaffitto di appartamenti, la pirateria e l’estorsione nel senso più ampio della parola. Questo implica che più di 60mila milioni di dollari provengono direttamente dal traffico e vendita di droga. Almeno mezzo milione di persone lavora nella filiera criminale. Attorno a tutto ciò c’è un sistema di lavaggio di denaro attraverso diverse forme d’impresa e tutto ciò si regge su reti di complicità molto ampie a cui partecipano l’esercito, la polizia, notai, impresari, politici ecc ecc”. Navarro prosegue “i giornalisti e le giornaliste quindi sono un ostacolo per queste reti criminal-politiche poiché molto spesso documentano i crimini che vengono commessi e mostrano la trama criminale a cui partecipano direttamente i grandi signori dell’economia e della politica”. Un giovane giornalista tijuanense, costretto dalla sindemia a fare altri lavori, trova il coraggio di parlare “penso che essere giornalista è pericoloso in tutte le parti del mondo ma in Messico, con i fatti dell’ultima settimana – soprattutto a Tijuana – è molto pericoloso”. Il clima in città è molto complesso infatti “a Tijuana il sistema di giustizia non funziona. Solo in questo inizio di 2022 ci sono state almeno 100 persone uccise e almeno nel 90% dei casi non ci sono responsabili. Di fatto sembra molto facile uccidere qui a Tijuana senza finire processati. Il nostro lavoro è trovare la verità, rendere pubbliche bugie e corruzione, ma questo è un paese corrotto, se si molestano gli interessi di alcune persone e visto che è provato che negli anni i colpevoli non vengono consegnati alla giustizia allora succede che ti ammazzano. E’ abbastanza allarmante e ci si rendiamo conto che anche se si è nei gruppi di protezione dello stato, anche se si grida di essere in pericolo, ti ammazzano lo stesso. E’ abbastanza triste, io sono molto triste e provato” racconta. La violenza in Messico si è fatta strutturale e le aggressioni ai giornalisti si intrecciano con le aggressioni sistematiche che si vivono. “In Messico ogni giorno vengono uccise 11 donne e ogni 38 ore una donna che lavora come giornalista o nell’ambito della comunicazione viene violentata” dice Amaranta Cornejo, ricercatrice universitaria “ma le cifre, se pur spaventose e terrificanti, non ci devono far fermare alla tragedia della vita troncata e neppure a ciò che colpisce le persone vicine alla persona assassinata, dobbiamo vedere come agisce più in profondità. Non si uccide la verità uccidendo giornalisti diciamo noi in Messico perchè le aggressioni non colpiscono solo chi viene colpito direttamente ma tutta la società, perchè generano di fatto il silenzio. Gli omicidi di giornaliste/giornalisti/comunicatori sono uno specchio in più della de-scomposizione sociale e politica. Dobbiamo capire seriamente chi ha realizzato il crimine perchè non si può cadere nella narrativa “che è sempre colpa del crimine organizzato”, questa è uscita semplicistica perchè sappiamo che viviamo in un paese dove esiste una collusione tra i criminali, i poteri economici e lo stato”. In questo clima è esplosa rabbia ed indignazione che ha portato, martedì 25 gennaio, ad una giornata nazionale di protesta e denuncia della violenza contro chi lavora nell’informazione. Protesta che ha portato in piazza in oltre 40 città ed in tutti gli stati che compongono il Messico diverse migliaia di persone mentre il presidente eletto Andres Manuel Lopez Obrador ha pensato fosse utile difendere l’ex governatore della Baja California, impresario di una televisione statale, ovvero il “capo” di Lourdes Maldonado contro il quale la giornalista aveva agito, e vinto, una causa lavorativa. AMLO ha difeso il suo compagno di partito dalle voci che lo vorrebbero legato alle violenze subite dalla giornalista.