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La prima carovana migrante del 2021 diventa la prima prova di forza anti-migranti targata Biden

Una nuova carovana migrante si è mossa da San Pedro Sula, capitale dell’Honduras. Il sogno, nuovamente, quello di arrivare negli USA, proteggendosi lungo il tragitto e trovando forme corali di forzatura delle frontiere. Sogno infranto a pochi chilometri della partenza.

Il potere repressivo degli stati-nazione si è abbattuto sul percorso della carovana. Se nel 2018 lo scontro, fisico, tra la massa di migranti centro americani e il muro con gli USA è andato in scena a Tijuana, proprio al confine tra Usa e Messico, negli anni seguenti il momento dello scontro si è spostato sempre più a sud: prima al confine tra Guatemala e Messico, ora in Guatemala.

Jimmy Morales, ex presidente guatemalteco, firmò, su pressioni economiche USA, un patto migratorio che ha trasformato il paese in “terzo paese sicuro”, impegnando il Guatemala a fare tutto ciò che è nelle sue possibilità per regolare i flussi, rallentarli, e raccogliendo dentro i confini le richieste d’asilo per il paese a stelle e strisce. Con Giammattei presidente l’uso della forza per fermare la carovana è diventato lo strumento principe: ad ottobre 2020 esercito guatemalteco e polizia hanno represso con forza il movimento migratorio per poi fornire forme assistite di rimpatrio. Ciò che si è visto oggi, domenica 17 gennaio, a circa 150 km da Città del Guatemala, precisamente a Vado Hondo, Chiquimula, con polizia ed esercito che hanno bloccato il fronte avanzato della carovana lanciando lacrimogeni non pare essere, quindi, una novità ma la norma.

Polizia e forze militari hanno prima circondato i migranti che invadevano l’autostrada. La carovana, di circa 6.000 uomini, donne, bambini e bambine, ha cercato di proseguire forzando, come accaduto ieri, il cordone di polizia ma stavolta le forze di sicurezza hanno usato gas lacrimogeni e caricato le persone, spingendo la carovana alcune centinaia di metri indietro.

Quasi certamente il moto migratorio si è mosso verso nord sperando nel cambio di governo negli USA e nelle parole, non guerrafondaie, di Biden sui migranti. Anche se un analisi più approfondita, soprattutto dei contatti telefonici tra Biden e Andres Manuel Lopez Obrador, presidente del Messico, regala una visione non rivoluzionaria sul futuro delle migrazioni nell’area. “Lo scambio d’impressioni” tra i due leader sembrerebbe tratteggiare un percorso di responsabilizzazione di Salvador, Honduras e Guatemala nella protezione dei confini in cambio di milioni di dollari di finanziamento a progetti di sviluppo dei diversi paesi. Progettualità che se non si osservassero i dettagli sarebbe anche piena di senso. Il primo dei dettagli, non secondario, è che i paesi centro americani sono marchiati da una “politica” interconnessa a stretto giro alla corruzione e a rapporti bi-direzionali con le bande criminali che seminano violenza nei diversi territori. Certo ogni paese ha le sue differenze, ma anche tante e troppe similitudini. Salvador, Honduras, e Guatemala vivono fasi politiche differenze, dove il livello di corruzione è una continuità ma che ha forme di visibilità e porosità con la società differenti. La fuga di massa da questi paesi è certo dettata dalla povertà ma anche dalla precarietà delle vite di chi li abita a causa di violenza e correzione. Quindi finanziare governi corrotti e che sono in accordo con gruppi criminali è un modo reale di generare un nuovo futuro per quei territori o per accrescere le macerie sociali che generano i flussi migratori? Una domanda certo complessa a cui probabilmente non troveremo risposta nel breve periodo. Certo è che è difficile pensare che Biden spingerà per cambiare rotta, anche a causa degli equilibri che il nuovo presidente dovrà ri-creare nel “suo” paese dopo i 4 anni di Trump e di esercebata retorica anti-migrazioni.

Resta drammatico che negli anni è stato teorizzato che se i migranti e le migranti centro americane avessero avuto la forza di visibilizzare la loro situazione avrebbero potuto strappare diritti e sicurezza, e quando le carovane migranti sono diventate visibili e cariche di rivendicazioni la risposta dei governi è stata l’inasprimento delle rigidità e possibilità di movimento tra paesi. Se è quasi certo che con Biden non vedremo più le violenze sui migranti, al confine tra USA e Messico, che Donald Trump ha usato mediaticamente non significa che la guerra alle migrazioni, e ai migranti del continente, sia meno violenta, grave, profonda. Lasciando all’interesse del sistema egemonico il futuro e la vita di ogni singolo uomo o di ogni singola donna, come la possibilità che Biden “regolarizzi” milioni di persone sul suolo statunitense.

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