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Covid-19: Cosa sta succendo in Ecuador

Intervista a Decio Machado, politologo ecuadoregno, su come la pandemia covid-19 sta incidendo nel paese.

Qui in Europa, in Italia, è giunta la notizia di quel che stava succedendo a Guayaquil, si parla di questa pandemia, di morti per le strade. Cosa sta succedendo a Guayaquil? E in altre zone del paese?

Al momento l’Ecuador è il paese con più vittime in America Latina per il Covid-19. È un paese di 17 milioni di persone, i numeri a livello mondiale non sono chiari, ma potrebbe trattarsi del paese con più vittime per milione di abitanti. Senza dubbio è quello con più vittime in America Latina. Guayaquil è l’epicentro di questa pandemia, è conosciuta come la Wuhan latinoamericana. La pandemia colpisce tutto l’Ecuador, non c’è nessuna provincia libera da contagi di Covid-19, ma chiaramente il nucleo più grave è quello di Guayaquil. Il governo diceva fino a 4 giorni fa che il numero di vittime erano più di 380 che ne sarebbero arrivate altre 500 o più. Stiamo quindi parlando di quasi 900 vittime e sono circolate immagini sui morti per strada che non sono stati ritirati dai servizi funebri. Sotto la pressione popolare, il Governo ha iniziato a fornire numeri, per il momento le indicazioni sono molto contraddittorie, per il momento la versione ufficiale è che in questi 46 giorni di Pandemia a Guayaquil ci siano stati più di diecimila morti.

Diecimila? Perché i dati della John Hopkins University parlano di 474 morti.

Certo, perché questi erano i dati che stava dichiarando fino a poco tempo fa il governo. Ieri sono usciti sui giornali nazionali i dati che parlano di più di diecimila morti solo nella città di Guayaquil. Il problema è che il governo contabilizza solo le persone che hanno passato i test di prova, per questo i numeri erano così bassi. Il problema dell’Ecuador è che dopo un mese e mezzo di pandemia il governo non è ancora stato in grado di garantire test di massa per tutta la popolazione. Questo significa che qualunque persona che muore senza aver effettuato un test per il coronavirus, non è contabilizzata come vittima del virus. Questa è la trappola, questi sono gli indicatori. Non c’è dubbio però sul fatto che la città di Guayaquil sia quella con il maggior numero di vittime. Nella città di Guayaquil muoiono in media 2000 persone al mese. Attualmente gli indicatori sono sfasati, perché sono già morte più di 10000 persone in un mese e mezzo. Il calcolo è difficile, a maggior ragione se consideriamo che il governo non contabilizza i morti che non hanno effettuato il test per Covid-19.

In Ecuador a fine 2019 abbiamo visto proteste per il governo di Lenín Moreno. Lenín Moreno sta cercando di usare questa pandemia per rafforzare il proprio governo o il suo governo è totalmente privo di legittimità popolare?

Prima della pandemia il governo di Lenín Moreno aveva un indice di approvazione tra il 4 e il 7%, adesso il dato è ancora peggio, è sceso di almeno due punti. C’è una disapprovazione generalizzata da parte della popolazione nei confronti della gestione della crisi. Una figura che sta sfruttando politicamente la pandemia è Otto Sonnenholzner, di ascendenza tedesca, il vicepresidente della Repubblica, che sta facendo una campagna posizionandosi sulla gestione del Coronavirus. È fortemente censurato sugli organi di stampa e sulle reti sociali, ma si era già proposto come potenziale candidato presidenziale prima della pandemia, e ora sta sfruttando la crisi per apparire sui media come gestore della crisi. Le elezioni in Ecuador saranno a febbraio 2021, mancano 10 mesi e c’è parecchia incertezza su come si svolgeranno queste elezioni, non sappiamo ancora come usciremo da questa pandemia.

Come in Italia, c’è una discrepanza tra i numeri ufficiali e quelli reali dei morti. Perché il governo non dice la verità secondo te?

Il governo stava mentendo fino a pochi giorni fa, adesso non è chiaro quali siano le cifre, stanno iniziando a uscire i dati di cui parlavo. Credo che il problema dell’Ecuador sia il fatto che il governo sia caratterizzato dallo smantellamento dello stato. Ci sono stati molti licenziamenti tra il personale nel pubblico in questi anni di gestione di Lenín Moreno, ci sono stati cambiamenti in molti settori dello stato, segretariati scomparsi e funzioni che sono state accorpate. I licenziamenti hanno portato molte persone in strada e anche molti medici e personale del settore sanitario sono stati lasciati a casa. Il fatto di essere stati ingannati con le cifre fino ad ora, è la conseguenza di una mancata assunzione di responsabilità da parte del governo, ad esempio per la mancanza di strutture adeguate per affrontare l’emergenza sanitaria. La volontà è stata quella di non far esplodere l’allarme sociale, affinché la popolazione non rinfacciasse i tagli alla salute. Il problema è che le immagini su quel che succedeva a Guayaquil sono uscite dall’ecuador con i grandi mezzi di comunicazione internazionale, sul New York Times, sulla televisione spagnola, su Le Monde, in Germania, in Italia. Il governo è quindi stato obbligato a fornire una certa trasparenza e, nonostante non sia ancora chiaro quante persone sono morte esattamente, le cifre iniziano a rappresentare meglio la realtà.

Com’è la situazione della sanità pubblica, se esiste, e che geografia ha in Ecuador? In tutte le zone del paese ci sono ospedali o, come immagino, nelle zone più isolate, abitate da popolazioni indigene e contadine, sono lontane dagli ospedali? In questo caso, come detto dal CONAIE, sarebbe una tragedia e non sarebbe neppure possibile conoscere le cifre, dato che in molte aree rurali le morti sono frequenti e quindi non è detto che vengano attribuite al coronavirus.

Durante il mandato di Rafael Correa erano stati fatti molti investimenti nella sanità pubblica, tutti sulle infrastrutture. Nella costituzione del 2008 si parla persino dell’universalità della salute pubblica, un concetto molto europeo, perché qui in America Latina non c’è universalità nella copertura sanitaria pubblica. Indipendentemente dalla costituzione e da tutti gli investimenti del precedente governo, non siamo mai arrivati ad avere un sistema sanitario pubblico di qualità. Tutto quello che avevamo ottenuto lo abbiamo perso in questi ultimi 3 anni con i tagli su tutto il settore pubblico, dall’educazione alla sanità. Questo governo ha applicato ricette neoliberiste in cambio di piani di finanziamento del Fondo Monetario Internazionale e questo implica diversi tagli ai fondi pubblici. Una delle più grandi preoccupazioni di chi come noi fa parte di realtà di movimento è proprio, come dicevi, che la pandemia raggiunga territori indigeni, in quanto si tratta delle zone più carenti in infrastrutture sanitarie e dove la povertà è maggiore. Ci sono già dati che confermano l’arrivo della pandemia nell’Amazzonia con alcuni casi tra i Secoya e probabilmente ce ne saranno altri di cui non abbiamo ancora notizie perché vivono in aree isolate. Questo è il grande timore tra i più sensibili qui in Ecuador. Nei territori indigeni è molto complicato trovare le condizioni per isolare le persone e per fornire le cure necessarie, si tratta di un problema enorme qui in Ecuador, ma anche nel resto del continente latinoamericano.

Sta circolando una grafica con la frase “non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Cosa ne pensi rispetto alla realtà ecuadoriana?

Qui è proprio questo il dibattito. Da parte delle organizzazioni popolari e dei movimenti sociali esiste una rivendicazione nei confronti dei settori che più hanno tratto profitto in questi ultimi 15-20 anni per la ricostruzione del paese e dell’economia. Durante il governo Correi ci sono stati molti investimenti nel pubblico, lo stato era il motore dell’economia, ma non c’è dubbio che chi ha potuto mettere tutto ciò a profitto sono state le imprese private. Quel che il governo ha stanziato per i settori più vulnerabili è stato il surplus del petrolio. Non c’è stata una ridistribuzione della ricchezza nazionale, al contrario, stiamo osservando una concentrazione ancora maggiore della ricchezza in poche mani. Il dibattito gira quindi attorno alla presa in carico della crisi da parte dei settori più privilegiati. Le politiche del governo non vanno d’accordo con queste richieste popolari. A breve sarà approvata una legge qui in Ecuador che prevede una griglia di stipendio per calcolare le tasse, senza tenere conto che più del 60% della popolazione del paese vive di economia informale e non può giustificare i propri introiti. I problemi che ci sono stati a Guayaquil hanno a che vedere con il fatto che la gente vive giorno per giorno, non uscire per andare a lavorare per molti significa non avere da mangiare. Si tratta di un fenomeno nazionale che implica la necessità di ripensare il piano economico. Questa chiusura ci sta facendo riflettere sulla società del consumo e la logica del mercato e sul fatto che i lussi ai quali alcuni hanno accesso non valgono nulla in situazioni come queste. Quando usciamo di casa dobbiamo trasformare le nostre vite, così dovrebbe essere. Devo confessare che la mia visione non è così ottimista, ho la sensazione che ci incamminiamo verso una società di tipo foucaultiana di stato di controllo tramite le nuove tecnologie e che ci troveremo con una democrazia ancor più carente di prima quando torneremo alla “normalità” tra virgolette perché la normalità che conoscevamo è quella che ha generato questa situazione.

Parli di questo futuro foucaultiano perché i movimenti altermondisti non hanno la forza di stare dentro a questa crisi proponendo una reale alternativa al capitalismo?

Le esperienze più importanti di quest’ultimo secolo sono state quelle organizzate secondo forme orizzontali e assembleari da parte della cittadinanza, non dai partiti politici né dalle istituzioni. Penso ad esempio alle primavere arabe, al 15M in Spagna, agli indignati in Brasile nel 2013, ai Gilets Jaunes in Francia, le Nuit Debout a Parigi, le proteste di ottobre qui in Ecuador e quel che stava succedendo in Cile subito prima della pandemia. Queste ondate di cittadinanza organizzata che non rispettava le istituzioni o le strutture partitiche classiche sono i fenomeni politici più interessanti del XXI secolo. Oggi tutto questo è sparito a seguito della pandemia e andiamo incontro a una logica di controllo tramite tecnologie come gli smartphone per verificare i contatti con contagiati. Questo genera una sorta di panopticon che vede tutto e ci impone forme di controllo e disciplinarmente sociale. Il coronavirus ha disattivato i movimenti sociali, ci riattiveremo quando potremo tornare ad uscire di casa, ma temo che saremo messi peggio di prima. Non voglio essere esageratamente pessimista, ma visioni come quelle di Žižek e altri amici mi paiono troppo ottimiste.

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