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Interviste

8 Marzo in Messico: L’intervista a Clara Ferri

di Andrea Cegna

“Lotto Marzo” visto con gli occhi latino-americani. Per questa prima avventura targata OlaAmericana.info abbiamo realizzato una serie di interviste a compagne attive nelle lotte femministe.

Questa l’intervista a Clara Ferri. Italiana di nascita, messicana di adozione. Da tanti anni residente a Città del Messico e attiva nelle lotte femministe.

– 8-9 marzo anche in Messico? Come si sta costruendo lo sciopero femminista?

Innanzitutto vorrei precisare che non è la prima volta che viene lanciata l’iniziativa dello sciopero femminista in occasione dell’8 marzo: il PIM (Paro Internacional de Mujeres) o IWS (International Women’s Strike) è stato convocato fin dal 2017 dalle femministe polacche, irlandesi e argentine e anche il Messico vi ha aderito. Chiaramente quando si parla di paro in questo paese non si deve applicare l’idea di sciopero che si ha in Italia: dato che il lavoro è più che altro informale e precario, non esiste proprio l’abitudine di ricorrere allo sciopero come strumento di lotta, salvo in alcuni casi limitati (gli scioperi delle fabbriche di Matamoros o dei braccianti a San Quintín, B.C., tanto per citarne un paio). In genere il termine paro viene usato per indicare un’occupazione studentesca o uno sciopero sindacale universitario. Quest’anno, dato che l’8 marzo cade di domenica, i gruppi femministi che di solito convocano al PIM hanno proposto una manifestazione, ma un collettivo femminista di Veracruz, las Brujas del Mar, ha diffuso sui social l’idea di farlo il 9 marzo, sulla scia di altri paesi. Ma a differenza degli anni precedenti, la convocazione è stata rilanciata dai media, che da settimane cavalcano l’onda dell’aumento della violenza di genere dando un’insolita rilevanza al fenomeno dei femminicidi allo scopo di attaccare il governo. E subito dopo hanno iniziato ad aderire varie istituzioni e poteri fattuali: dai partiti politici d’opposizione, in primis il PAN (destra), che durante i 12 anni in cui è stato al potere si è guardato bene dall’affrontare il fenomeno crescente dei femminicidi, anzi ne ha favorito la diffusione con la presunta “guerra al narco” che aveva ben altri obiettivi rispetto a quelli dichiarati, o questioni come il gender gap in ambito lavorativo, per non parlare della crociata contro la legalizzazione dell’aborto, che ha portato vari stati federali ad approvare delle riforme costituzionali locali che riconoscono il diritto alla vita dal momento del concepimento. Hanno aderito anche varie università pubbliche e private. dove le studentesse stanno da mesi cercando di modificare i meccanismi che permettono la tolleranza di episodi di molestie sessuali da parte di alunni, professori e lavoratori amministrativi, così come alcuni governi statali (dello Stato del Messico e del Guanajuato, per esempio), complici della violenza di genere per omissione o inazione. E perfino la Chiesa cattolica, storica portatrice dei valori patriarcali, l’Esercito, istituzione che non solo insabbia i casi di violenza che spesso si verificano da parte dei suoi membri nei confronti della popolazione civile, ma anche quelli al proprio interno, e la Borsa dei Valori aderisce allo sciopero. In che senso aderiscono? Permettono alle donne che studiano o lavorano presso di loro di assentarsi il 9 marzo, concedono il loro beneplacito. Non si capisce chi gliel’ha chiesto, ma comunque non perdono occasione per invitare le donne ad aderire allo sciopero, dichiarando l’importanza di arrestare il fenomeno della violenza e il sacrosanto diritto delle donne a protestare, ma non fanno la minima autocritica, non prendono in considerazione le denunce esistenti al loro interno, non offrono delle proposte per cambiare le cose. Insomma, sembra proprio che il 9M sia per loro l’occasione ideale per dare una ripulita alla propria immagine e soprattutto per attaccare il governo, che dal canto suo non sta dando al problema della violenza di genere l’importanza che merita, probabilmente perché non riesce a staccarsi dall’idea che si tratti di una delle tante sfaccettature della violenza in generale, non il prodotto di una cultura patriarcale che va combattuta in modo frontale. In sintesi, la società messicana si rende conto del problema, ma fa di tutto per far finta di attaccarlo senza però metterne in discussione le cause, né volerlo risolvere veramente.

– In Messico è stato coniato il termine femminicidi, oltre alle morti come si declina la violenza di genere?

La violenza di genere in Messico riporta dei dati davvero allarmanti: si registra una media di 10 femminicidi al giorno (secondo il Segretario Esecutivo del Sistema Nazionale di Pubblica Sicurezza) e il 50% dei casi in tutta l’America Latina (secondo il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU); si parla di 600 mila denunce all’anno per delitti sessuali e di 51 stupri al giorno: secondo la Commissione Esecutiva di Attenzione a Vittime (Ceav) 9 vittime su 10 sono donne, il 40% è sotto i 15 anni, 9 aggressori su 10 sono uomini e il 70% delle violenze avviene in ambito domestico. Ma si sa che non tutte le violenze vengono denunciate e alla maggior parte delle denunce non segue una condanna: secondo l’Inegi (l’ente statistico statale) nel 2019 si sono verificati oltre 16 milioni di delitti sessuali, ma solo 1 milione è stato investigato e solo 58 mila infrattori sono stati giudicati, quindi un 5% dei delitti è stato punito, mentre il 95% è rimasto impune. A mio giudizio, in un contesto di impunità così diffusa hanno poco senso le iniziative per incrementare le pene: c’è chi riesuma la proposta di reintrodurre la pena di morte (abolita dal Codice Penale nel 1929) per pedofili, chi parla di castrazione chimica per stupratori, chi invoca l’ergastolo per femminicidi, chi crede nella via istituzionale dell’allerta di genere che dovrebbe implicare delle misure di protezione alle vittime di violenza e una maggiore tempestività nell’intervenire in situazioni di violenza, ma che spesso si esaurisce nelle stesse dichiarazioni istituzionali: per esempio, negli 11 comuni dello Stato del Messico (uno degli stati con maggiori indici di femminicidio) dove l’allerta è stata applicata, non si è registrata una diminuzione del fenomeno e le donne continuano a sparire e a morire.

– Come il femminismo per te può essere una forma di liberazione per tutte e tutti, e di alternativa al sistema egemone?

Non vedo come si possa parlare di giustizia sociale, di una società più egualitaria senza prendere in considerazione la discriminazione di genere ancora così viva ai giorni nostri: a livello globale le donne guadagnano il 23% in meno rispetto agli uomini a parità di funzioni, hanno più difficoltà a esercitare alcune professioni tradizionalmente maschili o a intraprendere certe carriere; ancor oggi il lavoro domestico e la cura dei figli ricade in maggior misura sulle donne, pesano ancora molti pregiudizi sulle donne che vogliono esercitare una sessualità libera o difendono la propria autonomia. E ciò è in parte dovuto al fatto che anche negli ambienti per così dire più “progressisti” la cultura patriarcale non è mai stata seriamente messa in discussione, soprattutto dagli uomini. Tra i vari slogan femministi latinoamericani ce n’è uno che calza alla perfezione: “En la calle como el Che, en la casa Pinochet”. Credo che non abbia bisogno di alcun commento.

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